Di Tillo guides us through a cinematographic dimension, where the original function of objects is transformed in fiction, sublimed in its own self-reference. It's an invite to aesthetic surprise for what is customary, through a "set up" which allows short circuits of meaning. The installations are conceived as oniric mechanisms; objects which are familiar to us acquire new semantic functions able to stimulate our intellectual curiosity. He creates an illusion that leaves space to astonishment, not making us wonder where the trick is.
È all’interno di una dimensione cinematografica, quella in cui Di Tillo ci vuole condurre, dove la funzione originaria degli oggetti si trasforma in finzione sublimata nella loro stessa autoreferenzialità. Un invito allo stupore estetico per ciò che è consueto, attraverso una “messa-in-scena” capace di generare cortocircuiti di senso. Istallazioni concepite come meccanismi onirici; oggetti a noi famigliari, che acquistano nuovi indirizzi semantici in grado di provocare la nostra curiosità intellettuale. Un illusione, della quale rimane solo meraviglia e di cui non ci si chiede quale sia il trucco.
È all’interno di una dimensione cinematografica, quella in cui Di Tillo ci vuole condurre, dove la funzione originaria degli oggetti si trasforma in finzione sublimata nella loro stessa autoreferenzialità. Un invito allo stupore estetico per ciò che è consueto, attraverso una “messa-in-scena” capace di generare cortocircuiti di senso. Istallazioni concepite come meccanismi onirici; oggetti a noi famigliari, che acquistano nuovi indirizzi semantici in grado di provocare la nostra curiosità intellettuale. Un illusione, della quale rimane solo meraviglia e di cui non ci si chiede quale sia il trucco.

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